Madre lavoratrice, interdizione post partum a prescindere dal DVR: i chiarimenti dell’INL (2024)

Madre lavoratrice: l'interdizione post partum tiene conto delle mansioni effettivamente svolte dalla donna a prescindere da quanto previsto nel DVR, Documento di valutazione dei rischi. L'INL, con la nota numero 553 del 2 aprile 2021, fornisce tutti i chiarimenti in materia.

Madre lavoratrice: per applicare l’interdizione post partum si tiene conto delle mansioni effettivamente svolte dalla donna che, quando troppo gravose o pericolose, non possono in alcun modo esserle affidate.

Viceversa, per garantire la tutela della salute di madre e bambino non hanno alcun valore le analisi contenute nel DVR (Documento di valutazione dei rischi).

Lo ha ribadito l’Ispettorato nazionale del lavoro (INL) che, con la nota numero 553 del 2 aprile 2021, ha fornito alcuni chiarimenti in materia. In particolare, l’INL ha inquadrato le linee guida a cui gli uffici territoriali si devono uniformare nell’emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici nel periodo successivo al parto.

Alla base di tali indicazioni, peraltro, vi è divieto assoluto di adibire la lavoratrice che ha appena partorito al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi, faticosi ed insalubri.

All’interno di questa prescrizione, quindi, l’INL ha delineato il raggio di azione degli organi di vigilanza nell’autorizzare l’interdizione dal lavoro laddove non sia possibile adibire la lavoratrice ad altre mansioni non richiose per la sua salute.

Madre lavoratrice, interdizione post partum a prescindere dal DVR: i chiarimenti dell’INL

Per l’adozione dei provvedimenti di tutela della salute della madre che torna al lavoro dopo aver partorito, oltre che del suo bambino, è necessario verificare le mansioni da lei effettivamente svolte. A nulla rilevano, quindi, le valutazioni sul rischio alla sicurezza o alla salute formulate in sede di redazione del DVR.

iNL - nota numero 553 del 2 aprile 2021
Scarica la nota su interdizione post partum – artt. 6-7- 17, D.Lgs. n. 151/2001.

Se l’organo di vigilanza riscontra che alla donna sono affidati compiti troppo gravosi o pericolosi quali, per esempio, quelli che implicano il trasporto o il sollevamento di pesi, deve intervenire con le misure previste dalla disciplina in materia di sicurezza sul lavoro: variazione delle mansioni, quando possibile, o interdizione dall’attività lavorativa.

La nota dell’INL numero 553 del 2 aprile 2021, sul punto, richiama le disposizioni del Decreto Legislativo numero 151 del 26 marzo 2001 finalizzate a tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole attraverso l’adozione di misure di protezione.

In particolare, il decreto citato all’articolo 17 lettera b) stabilisce che la Direzione territoriale del lavoro e la ASL dispongono, qualora non sia possibile l’affidamento ad altre mansioni, l’interdizione al lavoro “quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino”.

Per l’interdizione post partum non vale il DVR: le indicazioni del Ministero del Lavoro

Il chiarimento dell’Ispettorato arriva a conferma dei precedenti orientamenti in materia di sicurezza delle donne lavoratrici dopo il parto.

Sia la giurisprudenza di merito, infatti, sia lo stesso Ministero del Lavoro si sono già espressi in favore di un orientamento restrittivo. In una di queste occasioni il Ministero, con la risposta all’interpello n. 28/2008 ha messo nero su bianco segue:

“(...) la valutazione sostanziale e diretta delle condizioni di lavoro e dell’organizzazione aziendale svolta dagli organi di vigilanza può prescindere dal documento di valutazione dei rischi che comunque l’ispettore ha facoltà di esaminare (...)”.

Conseguentemente, nella nota 553 l’Ispettorato ha ulteriormente specificato la regola nei termini seguenti:

“(...) anche qualora il rischio attinente al sollevamento dei pesi non sia stato espressamente valutato nel DVR, l’adibizione a tali mansioni costituirebbe comunque condizione sufficiente per il riconoscimento della tutela della lavoratrice con la conseguente emanazione del provvedimento di interdizione da parte dell’amministrazione competente, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni”.

Interdizione post partum nel caso di parto prematuro e pronuncia giurisdizionale

Dopo aver chiarito la regola generale, l’INL affronta la questione relativa a quale termine finale indicare nel provvedimento di interdizione post partum in caso di parto prematuro.

L’art. 16, comma 1 lett. d), del già citato D.Lgs. n. 151/2001 prevede che i giorni antecedenti al parto non goduti a titolo di astensione obbligatoria devono essere aggiunti al periodo di congedo obbligatorio di maternità da fruire dopo il parto.

L’analogo principio si applica anche nelle ipotesi di interdizione fino al settimo mese dopo il parto. Ecco, quindi, come già chiarito nella circolare INPS numero 69/2016, che i giorni di congedo obbligatorio ante partum non fruiti si aggiungono al termine della fruizione dei 7 mesi decorrenti dalla data effettiva del parto.

Infine, l’Ispettorato rammenta che gli organi territoriali devono intervenire con l’apposito provvedimento di interdizione anche in presenza di una sentenza dichiarativa circa la sussistenza del diritto all’astensione.

Diversamente avviene per l’erogazione dell’indennità sostitutiva, a cui la madre ha diritto per il periodo corrispondente, che la lavoratrice deve sempre richiedere all’INPS.

Madre lavoratrice, interdizione post partum a prescindere dal DVR: i chiarimenti dell’INL (2024)
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